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Nathav "Don't Quit Your Day Job" - Tra desideri e limiti imposti dalla vita

  • Immagine del redattore: Sonia
    Sonia
  • 8 lug
  • Tempo di lettura: 2 min

Nathav è l'alter ego musicale di Mathilde Lunderskov, poliedrica compositrice e cantante danese dalla lunga traiettoria artistica. Dietro questo nome evocativo, che in danese significa “Mare di Notte”, si cela un universo sonoro oscuro e poetico, in bilico tra il sogno e l'abisso, dove il pop elettronico incontra il lirismo di un'anima inquieta.


La carriera di Mathilde ha attraversato diverse stagioni musicali: dagli esordi con la band indiepop Lovebites, con cui ha pubblicato tre album, alla sua evoluzione più notturna e sofisticata nei progetti Blake e Umatic, fino alla maturità espressiva che trova ora piena forma nel progetto Nathav. Immersa in un paesaggio sonoro intimo e cinematico, la sua voce è stata accostata a quella di Kate Bush e Goldfrapp, ma è soprattutto la sua capacità di mescolare fragilità e forza, leggerezza e dramma, a definire un timbro davvero unico.


Dopo una pausa forzata dalla pandemia e la nascita di due figli, è tornata con nuova ispirazione, riaffacciandosi sulla scena con l'EP "Moon River", prodotto da Noah Rosanes, collaboratore di lunga data e compagno d'arte fin dai tempi dell'infanzia, quando i loro genitori suonavano insieme in una band disco anni ’70. "Moon River" è un viaggio di quattro tracce in un alt-pop downtempo che si muove tra il blues elettronico e il minimalismo sintetico. I brani, questa volta in inglese, esplorano zone d'ombra con eleganza e autenticità.


L'ultimo singolo estratto (uscito il 25 maggio sotto l'etichetta Horror Comfort) Don’t Quit Your Day Job, è una traccia ipnotica e labirintica sul conformismo e la rinuncia ai propri sogni. Una sorta di mantra claustrofobico, un loop esistenziale che parla dell'impossibilità di fuggire dalla routine, in cui ogni tentativo di evasione sembra fallire anche quando tutto in noi chiede libertà. Il tappeto sonoro avvolge, intrappola, e alla fine riporta sempre al punto di partenza.


Con un impianto sonoro ipnotico e sospeso, in cui synth stratificati, ritmi incalzanti e melodie soffocate creano un'atmosfera tanto sognante quanto inquietante. La voce eterea e quasi aliena amplifica questo senso di prigionia interiore, raccontando con eleganza e disperazione il conflitto tra sogno e realtà, tra desiderio creativo e limiti imposti dalla vita quotidiana. Don’t Quit Your Day Job non è solo un consiglio ironico: è un grido sommesso contro la rassegnazione, un mantra malinconico per chi, nonostante tutto, continua a sognare.






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